Libertà di stampa e monopoli dell’informazione: quando la realtà smentisce i racconti ipocriti
Il 23 maggio Si Cobas e i disoccupati autorganizzati hanno realizzato un presidio a Napoli, in piazza Dante, risultato poi in circa 300 partecipanti e uno scontro con la polizia. Gli avvenimenti ma soprattutto la risposta mediatica agli stessi impongono una riflessione sulla stampa e sulla sua effettiva libertà all’interno del sistema capitalistico. Ma andiamo con ordine.
Sulla pagina Facebook dei Si Cobas è riportato:
“Di fronte al silenzio delle Istituzioni alla nostra richiesta di incontro urgente col sindaco De Magistris e col presidente della Campania De Luca, abbiamo deciso di muoverci tutti insieme verso piazza Matteotti, sede della Città Metropolitana, dovendo ancora una volta fare i conti con le provocazioni della Questura, che prima ha cinto d’assedio il presidio a Piazza Dante impedendo ai manifestanti persino di muoversi alla spicciolata sui marciapiedi e costringendoci a un corteo improvvisato e non previsto per i vicoli del centro storico, poi ha attaccato con i manganelli i lavoratori e i disoccupati sopraggiunti su via Roma.”
Questa versione dei fatti, su qualsiasi dei giornali (es. qui e qui) occupatisi della vicenda non viene in alcun modo riportata. Al contrario si parla di un pezzo di corteo separatosi e del ferimento di tre poliziotti, per poi soffermarsi sulla solidarietà offerta da questore e prefetto agli stessi, e su come presto saranno identificati e puniti i colpevoli. Il capo della Polizia Franco Gabrielli, addirittura afferma che «la coincidenza con le cerimonie commemorative [per la morte di Falcone e Borsellino] fa apparire ancora più grave quanto accaduto oggi», paragonando quindi de facto la protesta dei lavoratori ad una pratica mafiosa. Sugli stessi articoli online è riportato inoltre un video che parrebbe smentire la versione dei fatti ufficiale, mostrando un’aggressione da parte della polizia ai danni dei manifestanti con tanto di manganellate.
Risulta quindi evidente una discrepanza tra la narrazione della stampa “ufficiale”, e i lavoratori in lotta, peraltro non interpellati. Non è certo una novità, casi simili si verificano continuamente e a tutti i livelli, da quello più “locale” come in questo caso, fino alla politica internazionale. Urge quindi una riflessione: a chi risponde l’informazione in Italia? Perché tutti i media hanno raccontato identica versione di questa vicenda, escludendo completamente il punto di vista dei lavoratori? Per rispondere a questa domanda, è utile un’analisi dei principali monopoli dell’editoria italiana, la loro composizione e le loro principali proprietà.
Il primo è il gruppo editoriale RCS (Rizzoli-Corriere della Sera Media Group). Possiede “Il Corriere” e la “Gazzetta dello Sport”, rispettivamente il primo e il quarto giornale più letti d’Italia, ma anche “Il Corriere del Mezzogiorno” ed “Il Corriere del Veneto”, oltre che varie case editrici. Un gran numero di periodici, tra cui spicca “Oggi”, e persino alcune piccole tv. Quotata per azioni, appartiene al 59% ad Urbano Cairo, proprietario di La7 attraverso la sua Cairo Communication ed anche proprietario e presidente della squadra di calcio del Torino, per il 10% a Mediobanca, per il 7% a Diego Della Valle ventiseiesimo uomo più ricco d’Italia, e per il 5% alla ChinaChem, che possiede a sua volta la Pirelli.
Passiamo al gruppo editoriale GEDI (GEDI Gruppo Editoriale S.p.A.). Nasce dall’incorporazione di Italiana editrice da parte del gruppo espresso nel 2016, e a sua volta viene acquisito da Exor (con una quota del 43,78%), cassaforte olandese della famiglia Agnelli. Controlla “La Repubblica”, il secondo quotidiano d’Italia, ed i suoi numerosi allegati, “La Stampa”, quinto giornale d’Italia e “Il Secolo XIX”, quotidiano nazionale di Genova molto seguito nella regione, e numerosi altri giornali locali. Possiede anche alcuni dei più importanti periodici, quali “L’Espresso”, ma anche la divisione italiana del “National Geographic”, “Micromega” e “Limes”. Numerosi anche i giornali online: “Huffpost Italia”, “Mashable”, “Business Insider Italy”, tutti sempre in cima alle ricerche Google, e poi le radio: “Radio Capital”, “Radio Deejay”, “M2o”. La Exor possiede anche la FCA, la Ferrari, la squadra di Calcio Juventus, e il giornale “The Economist”, paga le tasse in Olanda e vanta partecipazioni in numerosi altri gruppi.
Il gruppo Fininvest (Fininvest S.p.A.), legato a Silvio Berlusconi e alla sua famiglia invece, possiede Mondadori e Mediaset. Annovera quindi attraverso la seconda le tre reti televisive Mediaset (“Rete 4” “Canale 5” “Italia 1”) e molte altre, e alcune delle più importanti radio, come “Radio 105”, “Radio MonteCarlo”, “Virgin”. Attraverso Mondadori invece controlla oltre la stessa casa editrice, anche “Rizzoli” ed “Einaudi”, ed altre minori. Gestisce insieme a Paolo Berlusconi (fratello del più noto Silvio, proprietario anche di Edilnord) il quotidiano “Il giornale”, decimo giornale d’Italia per vendite. Partecipa col 30 per cento delle quote in Banca Mediolanum, oltre che in numerose aziende pubblicitarie.
Il Gruppo “Poligrafici Editoriale”, a sua volta controllato dal Gruppo Monrif, invece possiede “Il Resto del Carlino”, ottavo giornale d’Italia, “Il Giorno”, e “La Nazione”, ed il giornale online “Il Quotidiano.net”.
La Caltagirone Editore (Caltagirone Editore S.p.A.)possiede invece “Il Messaggero”, settimo giornale d’Italia e “Il Mattino”, più altri quotidiani locali come “Il Corriere Adriatico”. Appartiene al 60% a Francesco Gaetano Caltagirone, ventesimo uomo più ricco d’Italia per Forbes.
Il gruppo 24 ORE controlla il “Sole 24Ore”, quarto giornale d’Italia, ed è (col 60 cento delle quote) una proprietà diretta di Confindustria, rappresentandone gli interessi. Discorso simile per la chiesa, che attraverso la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) possiede il sesto giornale più letto, ovvero “L’Avvenire”.
Meriterebbe un discorso a parte anche il settore televisivo, dove a farla da padrone oltre alla già discussa Mediaset ci sono la Rai, che in quanto statale è divisa tra i vari partiti, Sky che è invece una multinazionale americana di proprietà del miliardario Rupert Murdoch, e Telecom Italia Media. Simile discorso per internet, dove Google, Facebook, Microsoft e Twitter si dividono completamente il mercato, in maniera spesso molto collaborativa, rendendo l’internet ben diverso da quella sconfinata pianura della libera informazione che ci si immaginava a inizio millennio.
Il quadro tracciato qui sopra mostra il livello di concentrazione monopolistico dell’informazione italiana (ma non solo) e cosa effettivamente sia la “libertà di stampa”. Non devono (né possono) quindi stupire esempi come quello d’inizio articolo, che sono il frutto di linee editoriali e scelte redazionali precise che rispondono a interessi altrettanto precisi. L’affermazione secondo cui il sistema dell’informazione è uno dei mezzi con cui la classe dominante assicura a sé stessa controllo ed influenza sull’opinione pubblica trova una tangibile conferma nella situazione descritta in precedenza: pochissimi padroni posseggono mezzi d’informazione a cui milioni di persone attingono per conoscere i fatti e modellare i propri giudizi.
Di quale libertà di stampa e d’informazione si può parlare in un contesto, come quello appena esposto, in cui pochissime persone sono proprietarie della quasi totalità dei mezzi con cui le persone di informano? Questo tipo di considerazioni è utile anche per rimuovere il velo di ipocrisia che ammanta tutti i discorsi che spesso si sente fare sulla libera informazione. Infatti “la “libertà di stampa” è una delle parole d’ordine fondamentali della “democrazia pura””(1), si potrebbe dire riprendendo un’attualissima considerazione di Lenin, e in ogni occasione ci si sente ribadire che siamo fortunati a vivere in un sistema in cui il settore dell’informazione è libero.
Quando però ci si sofferma ad analizzare, come abbiamo fatto, la spartizione che i principali gruppi economici hanno fatto dei canali d’informazione non si può che concludere che “questa libertà è un inganno”(2). La tendenza all’accentramento della ricchezza che governa il sistema economico in cui viviamo investe la stampa così come tutti gli altri settori e facendo ciò determina che il diritto ad una libera informazione, per quanto sancito sulla carta dai diversi sistemi legislativi, non ha sostanza alcuna. Gli alfieri dello status quo rintracciano nella pluralità degli attori, che comunque corrispondono a pochi proprietari di fette enormi del mercato dell’informazione, una garanzia di pluralismo delle posizioni esposte, dei punti di vista. Quello che come comunisti non possiamo che rintracciare è la dinamica per cui l’avvicendarsi di punti di vista, dichiarazioni rilanciate, fatti narrati differenti su giornali facenti capo a gruppi distinti non sia altro che il riflesso di interessi confliggenti di diversi settori della classe dominante, settori che, pur in contrasto fra loro, agiranno sempre nel tentativo di egemonizzare culturalmente strati sempre maggiori della popolazione. Così la libertà di stampa si dimostra essere uno strumento “di dominio dei ricchi sui mezzi d’istruzione delle masse”(3), strumento attraverso cui “essi ingannano il popolo, in quanto lo distolgono, con le loro belle frasi seducenti e profondamente ipocrite, dal compito storico concreto di affrancare la stampa dal suo asservimento al capitale”(4). Considerazioni di questo genere sul ruolo politico del sistema dell’informazione, unite alla pervasività assoluta dell’informazione e del sistema mediale nella vita di ognuno (si pensi che alcuni studiosi sono arrivati a parlare di mediacrazia in riferimento ai sistemi politici come i nostri in cui i media hanno un peso politico estremamente rilevante) non possono che evidenziare l’importanza di rompere il monopolio dell’informazione padronale.
L’impegno a restituire a lavoratori e classi popolari non solo uno spazio in cui abbiano voce i loro interessi e la lotta di classe ma anche uno spazio dal quale si possa sviluppare e rilanciare una loro prospettiva politica autonoma è ciò che deve animare, e anima noi de “L’Ordine Nuovo”, chiunque abbia a cuore il contrattacco alle politiche filopadronali che, come negli ultimi anni, saranno usate per scaricare sulle fasce più deboli i costi della crisi.
(1) Lenin: “Primo Congresso dell’Internazionale comunista – Tesi e rapporto sulla democrazia borghese e sulla dittatura del proletariato”, Opere complete, Editori Riuniti, vol. 28, pagg. 464-465
(2) Ibid.
(3) Ibid.
(4) Ibid.